La particolare tenuità del fatto, così come modificata dalla riforma Cartabia, è rilevabile anche d’ufficio in Cassazione.

di Ilaria Li Vigni su Italia 23 aprile 2023 La particolare tenuità del fatto, così come modificata dalla riforma Cartabia, è rilevabile anche d’ufficio in Cassazione. Lo ha deciso, con una recente pronuncia, la Corte di Cassazione, sezione quarta penale, con la sentenza n. 9466 del 15 febbraio 2023. La Corte d’appello di Bologna confermava, […]

di Ilaria Li Vigni su Italia 23 aprile 2023

La particolare tenuità del fatto, così come modificata dalla riforma Cartabia, è rilevabile anche d’ufficio in Cassazione.

Lo ha deciso, con una recente pronuncia, la Corte di Cassazione, sezione quarta penale, con la sentenza n. 9466 del 15 febbraio 2023.

La Corte d’appello di Bologna confermava, limitatamente ad uno degli imputati, la sentenza del Tribunale di Forlì con la quale costui era stato condannato per il reato di furto in luogo di privata dimora in continuazione e in concorso con altra imputata, separatamente giudicata.

Ciò posto, avverso il provvedimento proponeva ricorso per Cassazione la difesa che, inoltre, depositava anche memoria scritta con la quale concludeva chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio, al fine di provvedere alla richiesta di applicazione di una pena sostitutiva e, segnatamente, il lavoro di pubblica utilità ovvero la detenzione domiciliare, chiedendo altresì che, all’indomani della nuova formulazione dell’art. 131 bis, cod. pen., di cui al d. lgs. n. 150/2022, entrato in vigore il 30 dicembre 2022, che ha esteso l’applicabilità della causa di non punibilità di cui sopra a reati puniti con una pena minima non superiore ad anni 2, venisse dichiarata la non punibilità per particolare tenuità del fatto (precisando che all’epoca del commesso reato la violazione di cui all’art. 624 bis, cod. pen. era punita con la pena da uno a sei anni di reclusione).

La Corte, in ordine alle argomentazioni giuridiche sostenute nella suddetta memoria per quanto concerne la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis del cod. pen., le riteneva astrattamente condivisibili alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si osservava, prima di tutto, che il nuovo art. 131 bis, cod. pen., come modificato dall’art. 1, c. 1, lett. c), n. 1), d.lgs. n. 150/2022, prevede l’applicabilità generalizzata dell’istituto a tutti i reati puniti con pena minima pari o inferiore a due anni.

Pertanto, alla stregua di ciò, la Cassazione prendeva atto come, per effetto di questa riforma, sia venuto meno ogni riferimento al limite massimo della pena edittale cosicché, ferme restando le eccezioni previste dalla norma, a suo avviso, del tutto condivisibile, il nuovo istituto avrebbe potuto trovare applicazione rispetto a un numero più ampio di reati tra i quali, per esempio, i furti aggravati che, in larga parte, sono oggi diventati punibili a querela ad opera della stessa riforma e, tra le novità, con specifico riferimento ai parametri di valutazione, era segnalata anche quella che consente al giudice di considerare la condotta susseguente al reato.

Ciò posto, preso atto che la norma era entrata in vigore il 30 dicembre 2022, giusto disposto dell’art. 6 del d.l. n. 162/2022, la Cassazione rilevava come sulla natura della norma in esame soccorra il diritto vivente, nel senso che l’istituto ha natura sostanziale ed è applicabile, per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore del d. lgs. 16 marzo 2015, n. 28, anche ai procedimenti pendenti davanti alla Corte di Cassazione e – solo per questi ultimi – la relativa questione, in applicazione degli artt. 2, c. 4, cod. pen. e 129, cod. proc. pen., è deducibile e rilevabile d’ufficio.

Da ciò se ne faceva discendere come la norma, come novellata, debba trovare applicazione anche ai fatti di reato commessi prima dell’entrata in vigore della riforma, in ossequio alla regola generale di cui all’art. 2, c. 4, cod. pen., siccome legge più favorevole rispetto a quella previgente.

La relativa questione, pertanto, ove non proponibile con il gravame o nel corso del giudizio di appello, è deducibile e rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 609, c. 2, cod. proc. pen. e, se la Corte di cassazione ne riconosce la sussistenza, può dichiararla anche d’ufficio ai sensi dell’art. 129, c. 1, cod. proc. pen., annullando senza rinvio la sentenza impugnata.

Pur tuttavia, secondo la Suprema Corte, non sussistevano nella specie le condizioni per addivenire ex officio a una pronuncia demolitoria da parte della stessa Corte di legittimità dato che il tema non aveva formato oggetto di trattazione nel giudizio di merito e, pertanto, dalla sentenza non era dato rilevare alcun elemento al quale potesse essere agganciata la relativa valutazione.

Il motivo predetto, di conseguenza, era ritenuto infondato.