Il cittadino straniero, per l’istanza di gratuito patrocinio in Italia, deve certificare i redditi prodotti all’estero.

di Ilaria Li Vigni su Italia Oggi 16 luglio 2024 Con ordinanza del 26 ottobre 2023, il Tribunale di Firenze, prima sezione penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo e terzo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 3, lettera c), CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 79, […]

di Ilaria Li Vigni su Italia Oggi 16 luglio 2024

Con ordinanza del 26 ottobre 2023, il Tribunale di Firenze, prima sezione penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo e terzo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 3, lettera c), CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui richiede ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, per i redditi prodotti all’estero, di corredare l’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato con la certificazione dell’autorità consolare competente.

Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata comporterebbe un irragionevole vulnus al principio di eguaglianza nell’accesso alla tutela giurisdizionale, in violazione degli artt. 3 e 24 Cost., in quanto determinerebbe una disparità di trattamento tra i cittadini italiani o appartenenti all’Unione europea e tutti gli altri, venendo richiesta solo a questi ultimi la produzione di documentazione ulteriore per l’accesso al beneficio in questione.

Le questioni, ad avviso della Corte Costituzionale con sentenza n.110/24, non sono fondate.

La Consulta ha più volte affermato il principio secondo il quale il diritto dei non abbienti al patrocinio a spese dello Stato, la cui funzione è quella di «rimuovere, in armonia con l’art. 3, secondo comma, Cost., “le difficoltà di ordine economico che possono opporsi […] al concreto esercizio del diritto [di difesa]”», sebbene inviolabile nel suo nucleo intangibile, non è sottratto al bilanciamento di interessi, spettante al legislatore, «che, per effetto della scarsità delle risorse, si rende necessario rispetto alla molteplicità dei diritti che ambiscono alla medesima tutela.

Per comprovare il presupposto reddituale, i cittadini italiani e di Stati appartenenti all’Unione europea devono produrre, «a pena di inammissibilità», una «dichiarazione sostitutiva di certificazione […] ai sensi dell’articolo 46, comma 1, lettera o), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445», che attesti «la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell’articolo 76», tanto per i redditi prodotti in Italia, tanto per quelli prodotti all’estero.

Quanto alla diversità di disciplina per la concessione del beneficio in parola allo straniero, la giurisprudenza costituzionale ha già affermato che la stessa «non può non tener conto delle peculiarità che contraddistinguono la situazione dello straniero da quella del cittadino, in particolare per quanto riguarda sia la sua situazione reddituale, la quale – al di là del maggiore o minore potere d’acquisto della moneta nei vari paesi, che costituisce differenza fattuale, occasionale e variabile – condiziona l’ammissione al beneficio, sia il relativo accertamento.

Deve quindi escludersi la denunciata violazione dell’art. 24, secondo e terzo comma, Cost., da parte delle disposizioni censurate, in quanto la richiesta di documentazione ulteriore a carico del cittadino extra UE ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, lungi dal determinare un vulnus alla tutela giurisdizionale, è piuttosto funzionale a garantire la verifica delle effettive condizioni reddituali dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea che sono le sole a giustificare l’ammissione al patrocinio gratuito.

Con riguardo alla prospettata violazione dell’art. 3 Cost., sotto il duplice profilo dell’irragionevolezza intrinseca e della ingiustificata disparità di trattamento, è proprio la facoltà – concessa allo straniero extra UE dallo stesso sistema normativo denunciato dal rimettente – di avvalersi di una dichiarazione sostitutiva, ove risulti impossibile produrre la certificazione consolare, ad escludere il prospettato vulnus, attenuando considerevolmente l’onere documentale contestato dal giudice a quo.

Nel rispetto del principio di eguaglianza, che giustifica discipline diverse a fronte di situazioni differenti, le disposizioni censurate impongono un adempimento che, da un lato, non si presenta come inesigibile e, dall’altro, non fa gravare sull’istante il rischio dell’impossibilità di produrre la documentazione consolare richiesta per ottenere il godimento del beneficio in parola.

Parimenti, non è fondata la censura della violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6, paragrafo 3, lettera c), CEDU, in quanto le disposizioni censurate non precludono affatto la possibilità che lo stato di non abbienza sia provato liberamente, nell’ipotesi di mancata allegazione della contestata certificazione consolare, potendo il giudice, oltre ad esercitare d’ufficio i poteri di sollecitazione e di accertamento sopra ricordati, valutare in ogni caso il «tenore di vita, [le] condizioni personali e familiari, e [le] attività economiche eventualmente svolte» ai sensi dell’art. 96, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002.

Il cittadino straniero, per l’istanza di gratuito patrocinio in Italia, deve certificare i redditi prodotti all’estero.