di Ilaria Li Vigni
Pubblicato su Italia Oggi il 14 Febbraio 2023
Misure alternative e regime ostativo: non esiste illegittimità
Misure alternative e regime ostativo di cui all’art. 4 bis ordinamento penitenziario.: la Corte non ravvisa alcun profilo di illegittimità costituzionale. Con l’ordinanza n. 242 del 13 dicembre 2021, la Corte Costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4-bis, co. 1, e 58-ter, ord. penit., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 27, co. 3, e 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 3 e 6 della CEDU. La questione era stata posta all’attenzione della Corte dal Tribunale di Sorveglianza di Messina, con particolare riferimento alla parte in cui le predette norme precludono l’accesso alle misure di cui al Capo VI della L. 26 luglio 1975, n. 354 (misure alternative alla detenzione) ai condannati per i reati elencati nel citato art. 4-bis, co. 1, ord. penit., che non abbiano collaborato con la giustizia.
La Consulta ha svolto delle valutazioni preliminarmente formali ed ha ritenuto le questioni proposte manifestamente inammissibili, anzitutto per difetto di motivazione sulla rilevanza delle stesse. Inoltre, la Corte ha osservato come il Tribunale rimettente abbia espresso, del tutto immotivatamente, il proprio orientamento verso una integrale caducazione del divieto di accesso ai benefici penitenziari per i condannati per reati “ostativi” e verso una rimozione totale della presunzione di pericolosità connessa all’atteggiamento non collaborativo del condannato. Tale assunto del Tribunale di Sorveglianza di Messina si è basato sulla motivazione di provvedimenti che, al contrario, hanno censurato solo il carattere assoluto della presunzione medesima, e solo in relazione al permesso premio (vedi, ad esempio, la sentenza della Corte Costituzionale n. 253 del 2019).
Quindi, secondo la Consulta, risulta manifesta l’inammissibilità delle questioni, tenuto anche conto che il relativo accoglimento comporterebbe una vera e propria novità di sistema, azzerando completamente un complesso meccanismo legislativo mirato, invece, a distinguere le procedure e i presupposti per l’accesso a benefici penitenziari e misure alternative, sulla base di indici sintomatici variamente individuati. Interventi di siffatta portata, ha evidenziato la Corte con chiarezza, si collocano «al di fuori dell’area del sindacato di legittimità costituzionale», come la Corte aveva già ribadito nella sentenza 252/2012.
In realtà, al di là della decisione della Consulta che, da un punto di vista formale, appare certamente ineccepibile, la questione è davvero complessa. Infatti, l’attuale normativa processual penalistica e penitenziaria vieta, di fatto, l’accesso alle misure alternative alla detenzione a tutti quei condannati per gli illeciti c.d. “ostativi” rientranti nell’art. art. 4-bis, co. 1, ord. penit. Tali illeciti, indubbiamente costituenti particolare gravità e pericolosità sociale, sono tuttavia, a ben vedere, definiti da un elenco chiuso e tassativo. Nella normativa non viene tenuto conto di tutte quelle circostanze del reato, oggettive e soggettive, che ne specificano le modalità di esecuzione e, conseguentemente, la gravità della condotta e la pericolosità del condannato. Ciò costituisce un vulnus di “eguaglianza sostanziale” che è stato sollevato da tempo dalla dottrina e dalla giurisprudenza, con particolare riferimento a un settore così “costituzionalmente delicato” quale quello dei benefici penitenziari.